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Il coraggio delle donne


Durante l’occupazione nazista, le donne italiane dimostrarono un encomiabile coraggio, sfidando spesso la prepotenza dei tedeschi. Mentre gli uomini erano costretti sovente a nascondersi per evitare di essere catturati dai soldati di Hitler, le donne sprezzanti del pericolo e dei rischi, li sostituivano provvedendo alla ricerca del cibo, ai lavori più duri, difendendo sempre la famiglia con straordinaria determinazione. Nel territorio del Golfo di Gaeta si verificarono numerosi episodi che evidenziarono la fibra d’acciaio delle donne.
Ne riportiamo i più significativi.

Un giorno di dicembre, un gruppetto di giovani, Sandro e Giacinto Grossi, Bruno D’Elia di soli 14 anni. Enea De Meo e i fratelli Sardo furono catturati dai tedeschi in località Valle Lauciana sulla collina di Maranola e subito condannati a morte perché considerati partigiani.

I tedeschi li fecero allineare per fucilarli, ma poco prima dell’esecuzione, Bruno D’Elia tentò di fuggire inseguito dalle pallottole dei soldati. A quel punto, un gruppo di donne che avrebbero dovuto assistere all’esecuzione, si frappose tra i condannati e i soldati tedeschi,
urlando che quei ragazzi non erano partigiani. I militari della Wehrmacht si sorpresero a tal punto da sospendere la fucilazione. L’improvvisa iniziativa di D’Elia (rimasto ferito durante il tentativo di fuga) fu fondamentale ma, senza la coraggiosa sollevazione delle donne, il
gruppo di giovani non sarebbe stato risparmiato.

«Nell’autunno del 1943 - racconta la madre di Mario Rizzi - unitamente ad altre donne di Minturno fui trasportata a Spiano Vecchio. Durante l’inverno, sotto la spinta della fame, tentammo “una sortita” a Simonelli, dov’era quello che rimaneva della nostra casa, per rifornirci di derrate alimentari che, prima dell’evacuazione, avevamo sotterrato in recipienti di vetro, all’ombra di una grande pianta di noce. Lungo la via Luigi Cadorna fui fermata dai tedeschi insieme a mia cognata Giovanna ed altre donne di Simonelli. Fummo trattenute per circa cinque ore.

Giovannina Ciufo mi suggerì di tirare fuori un seno e di premerlo in modo tale da permettere la fuoriuscita del latte. Avevo vergogna, ma dietro l’insistenza di mia cognata e messo in disparte il pudore, mostrai una mammella e premendola spruzzai del latte sulla divisa di un tedesco. Al gesto feci seguire un “uè-uè-uè” e, indicando la pianura sottostante, cercai di far capire che lì mi aspettava un neonato bisognoso di poppata. Ci furono attimi di silenzio assoluto. Noi temevamo una reazione da parte di quei cuori di
pietra ma, ribaltando ogni sfavorevole pronostico e con nostra grande meraviglia, i tedeschi mi fecero passare insieme a mia cognata. Altre donne che erano con noi furono rispedite indietro».

Sulla collina di Tremensuoli, Luigia De Filippis corse dei grandissimi rischi per nascondere dei giovani soldati italiani impauriti, affamati e feriti. La coraggiosa donna minturnese organizzò uno stratagemma tanto semplice quanto efficace per avvertire chiunque della presenza dei tedeschi. Con un panno bianco steso sul punto più alto del paese si dava il segnale di via libera, con quello rosso, invece, si avvertiva del pericolo.

Le drammatiche vicende delle guerra sottoponevano le donne ad un fortissimo stato di stress e di tensione, provocando gravi problemi fisici come il blocco del ciclo mestruale e, nelle donne in gravidanza, addirittura degli aborti.

Padre Gaspare Forcina racconta nel suo diario un episodio più fortunato: «Vincenza, moglie di Tommaso, da felicemente alla luce una bambina. L’evento è per noi un vero attestato di benevola assistenza da parte della Divina Provvidenza. È proprio vero che Dio vede e provvede, e manda le croci a ciascuno secondo le forze.

Infatti la puerpera l’anno scorso, nel dare alla luce un’altra bimba, ebbe bisogno dell’assistenza prolungata dell’ostetrica e dell’intervento chirurgico. Questa volta, che si difetta di ogni umano conforto, il parto è avvenuto nel modo più semplice. Dopo cena, accortasi che il momento si avvicinava, si è portata in casa di una sua conoscente.

È stata chiamata d’urgenza una levatrice, ma, quando questa è giunta, la bimba era già nata».

Liberamente tratto da “Il Golfo di Gaeta nella seconda
guerra mondiale“ di Gabriele Novelli – (pp. 193-196)

Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" n. 2 anno 2008

 


 

 

 

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