In Evidenzia - Curiosità - La nave da battaglia Benedetto Brin      
 

 

 

La nave da battaglia Benedetto Brin

 

Motto della nave: PER INGENIO VIRTUS (Il valore è pari all’ingegno)

All’inizio del secolo scorso, l’Inghilterra possedeva 29 unità di tonnellaggio maggiore, 6 gli Stati Uniti, 4 il Giappone, 2 la Francia e 2 la Russia.

Pertanto l’Italia, anch’essa nazione marinara, diede avvio alla costruzione di due navi da battaglia gemelle: Regina Margherita e Benedetto Brin, entrambe elaborate dell’Ispettore del Genio Navale Benedetto Brin e, alla morte di questi, riprese con modifiche, dal Generale del Genio Navale A. Micheli. Le due corazzate erano ottime unità sia per la loro velocità e sia per protezione ed armamento, nonché per l’abitabilità degli alloggi per l’equipaggio.

L’impostazione della Benedetto Brin avvenne nel regio cantiere di Castellammare di Stabia nel 1899 ed il varo, che a causa di ritardi tecnici e burocratici, si protrasse di qualche mese, nel 1901.

Nell’attesa i lavori continuavano e la nave, sullo scalo, aumentò di peso.

Era la prima volta che si varava una nave così pesante e non poche preoccupazioni sorsero tra i tecnici per la buona riuscita delle delicate operazioni di varo.

Durante la permanenza dell’unità sullo scalo di costruzione, il Re visitò il cantiere per rendersi conto sull’andamento dei lavori e tornò successivamente l’anno dopo per la cerimonia del varo.

La Tribuna Illustrata della Domenica del 17 novembre 1901, in occasione del varo, scriveva: “La nostra industria navale ha celebrato un nuovo e splendido trionfo: dal cantiere di Castellammare, alla presenza dei Sovrani, la corazzata di prima classe Benedetto Brin è stata felicemente varata il 7 del corrente mese, e ora lo scafo immenso galleggia; maestoso gigante, sulle onde in attesa che l’allestimento venga a completare l’opera e dotare la flotta italiana di una nuova e potente unità.

(…) La nave in carico normale porta una  povvista di combustibile di 1000 tonnellate, colla quale provvista ha un raggio d’azione di circa 5000 miglia alla velocità economica di 10 miglia per ora.

È capace però di portare altre 1000 tonnellate di carbone di riserva, raddoppiando allora il suo raggio d’azione.

I carbonili sono disposti in modo che il combustibile concorra alla protezione delle parti vitali della nave.

Lo scafo è costruito intieramente in acciaio dolce Martin-Siemens …; è suddiviso internamente con numerose paratie longitudinali e trasversali; è munito di doppio fondo esteso per tutto il tratto occupato dall’apparato motore e dai depositi di munizioni. (…)

L’uso del legno, in vista del pericolo d’incendio in combattimento è stato del tutto escluso, rimanendo solo il sfasciamento del ponte di coperta, che non implica sotto questo riguardo pericolo di sorta”.

Le caratteristiche della nave erano le seguenti:

– dislocamento normale di 13.427 tonnellate;
– dislocamento a pieno carico di 14.574 tonnellate;
– dimensioni 139 metri di lunghezza, 23,8 di larghezza e 8,9 metri di immersione;
– apparato motore composto da 28 caldaie alimentate a carbone che fornivano vapore a 2 motrici alternative a triplice espansione (alta, media e bassa pressione) per un potenza di 20.000 hp sulle due eliche;
– velocità di 20 nodi;
– equipaggio formato da 797 uomini (superava le 900 unità in determinate situazioni di guerra).

La corazzata possedeva una buona protezione sia orizzontale, sul ponte e sia verticale, nonché alle artiglierie ed al torrione di comando.

Sempre dalla Tribuna Illustrata del 17 novembre si legge: “…si può definire come una nave a cintura completa e cittadella centrale corazzata, con ponte cellulare di protezione corazzato ai fianchi, con ridotti circolari e cupole pei cannoni da 305, con casematte pei cannoni da 203.

La protezione è completata da strati orizzontali di lamiera di acciaio duro speciale ricoprenti dal di sopra tutte le parti protette da corazze verticali.

Le corazze della cintura hanno la grossezza di 15 cent. ridotta a 10 soltanto verso le estremità; eguale grossezza di 15 cent si ha per le murate della cittadella (corridoio e batteria) e per le pareti esterne delle casematte, laddove le traverse a maggiore difesa contro i tiri d’infilata, hanno la grossezza di 20 cent.

Hanno pure la grossezza di 20 cent le corazze dei ridotti circolari. Le parti inclinate del ponte di protezione sono coperte da piastre della grossezza di 8 cent., mentre la parte piatta centrale è coperta da grosse lamiere di acciaio duro. Al di sotto della cintura di corazza è stato studiato ed applicato un sistema speciale di struttura rinforzata”.

L’armamento era così composto:

– 4 cannoni da 305/40 mm in due torri binate poste una in caccia e l’altra in ritirata, con una cadenza di un colpo al minuto, del peso di 417 chili e con una velocità 780 metri/sec.;
– 4 cannoni da 203/45 mm. posti in coperta ed alloggiati in casematte;
– 12 cannoni da 152 mm. sei per fianco nel ridotto;
– 20 pezzi da 47 mm.;
– 2 pezzi da 47 e 2 da 37 mm., nonché 2 mitragliere;
– 4 tubi lancia siluri da 450 mm, sistemati 2 sotto la linea di galleggiamento e due sopra.

La nave, completata il 1° settembre 1905, entrò in servizio il 1° aprile 1906 ed a La Spezia ricevette la bandiera di combattimento.

Nella guerra italo-turca, il 19 aprile del 1912, unitamente alle navi Saint Bon, Filiberto, Regina Margherita ed agli incrociatori Ferruccio, Amalfi e Pisa bombardò gli Stretti dei Dardanelli; il 24 dello stesso mese fornì un contingente di marinai per occupare l’isola di Rodi. Inquadrata nella II Divisione, I Squadra formata dalla unità gemella Regina Margherita e dalle navi Filiberto e Saint Bon, nonché da un gruppo di siluranti, scortò un convoglio di navi che trasportava armi e soldati (piroscafi Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour e Valparaiso) e partecipò al bombardamento di Tobruch ed alla sua occupazione, nonché alle operazioni contro Bengasi e la Cirenaica.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, l’unità si trovava nel porto di Brindisi, sede del Comando del Basso Adriatico e delle navi e sommergibili impegnati nelle operazioni navali.

Lunedì 27 novembre 1915 ad appena quattro mesi dall’inizio delle ostilità, alle ore 8,00 si udì un violentissimo boato e la nave, ormeggiata nel porto medio, si inabissò lentamente per lo scoppio della Santa Barbara.

In considerazione dell’ora della tragedia, tutto l’equipaggio si trovava a bordo e dei 943 uomini che in quel momento erano imbarcati, ne morirono 456 dilaniati dagli scoppi, schiacciati dai crolli dei ponti e delle paratie, inabissati con la nave. Trovarono la morte anche l’Ammiraglio di Divisione Ernesto Rubin de Cevin ed il Comandante della nave Capitano di Vascello Gino Fara Forni.

Fausto Leva, un testimone oculare così descrisse la catastrofe: “…nel fumo denso si distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm., che lanciata in aria dalla forza dell’esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro.

Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiarsi senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle.

Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami.

Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto” (Teodoro G. Andriani, La base navale di Brindisi durante la grande guerra, 1993).

La folla muta assistette al recupero dei corpi dilaniati e a dei superstiti che furono raccolti dalle imbarcazioni delle altre navi, italiane e francesi presenti nel porto, e portati nelle loro infermerie, nell’ospedale della Croce Rossa e nell’Albergo Internazione, subito adibito ad infermeria d’emergenza. La Marina emanò un comunicato nel quale si asseriva che la nave era affondata per lo scoppio del deposito munizioni.

Tra le varie ipotesi sulle cause della tragedia, l’apposta Commissione d’inchiesta optò per quella del sabotaggio da parte di traditori italiani ed elementi del servizio segreto austriaco in quanto, nel corso dell’anno si erano già verificati diversi sabotaggi ad impianti militari ed industriali (fabbrica di dinamite di Genova; centrali idroelettriche ed hangar per dirigibili ad Ancona; incendi di magazzini nei porti di Napoli e Genova) ed altri ne avvennero ancora proprio ai danni di unità da guerra italiane, finché il controspionaggio della Regia Marina non riuscì a scoprire che la centrale nemica era presso il consolato austriaco di Zurigo nella persona del falso console Capitano di Corvetta Rudolph Mayer.

Con una spericolata azione segreta, il  nostro controspionaggio riuscì a trafugare dalla cassaforte del consolato austria comateriale compromettente più l’elenco delle
spie e degli agenti segreti operanti in Italia.

Antonio Cimmino
(Membro del Collegio dei Sindaci della
Federazione di Napoli)

 

 

Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" n. 6 2008

 

 

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