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Otranto Città Martire

 

Il 14 agosto Otranto ha ricordato l’orrenda strage dei suoi figli, passati alla Storia come gli “800 martiri di Otranto”, avvenuta ben 527 anni fa.

Quest’anno però la celebrazione è avvenuta con particolare solennità e grandi festeggiamenti perchè gli 800 Martiri (813 per l’esattezza), già beatificati da Clemente XIV il 14 dicembre 1771, dopo la promulgazione dei Decreti della Congregazione, firmati da Papa Benedetto XVI il 7 luglio scorso, diventeranno presto santi.

Ma cosa avvenne in quel lontano 1480 in questa ridente cittadina pugliese sorta alle foci dell’Idro nella parte più orientale del Salento e dalle cui rive è possibile scorgere oltre l’Adriatico, le impervie cime del Paese delle Aquile, l’Albania?

Nella sua lunga storia Otranto, l’antica Idrunto di origine messapica, fu per molto tempo, insieme ad altre località meridionali, un possedimento dei Bizantini. Nel 1068, cedendo a Roberto il Guiscardo, Otranto passò ai Normanni e successivamente agli Angioini e poi agli Aragonesi. Nel 1480 faceva parte del Regno di Napoli sul quale regnava il re aragonese Ferrante.

Qualche anno prima (1453), con la conquista di Costantinopoli (l’antica Bisanzio) da parte degli Ottomani, era caduto l’Impero Romano d’Oriente. I nuovi conquistatori si ritrovarono quindi eredi dei diritti di Bisanzio nell’Italia Meridionale.

Il raffinato e colto Solimano II ben sapeva che non era facile fare valere tali diritti verso Re Ferrante, ma con la saggezza tutta orientale sapeva che prima o poi si sarebbe presentata l’occasione favorevole.

E questa non tardò.

In quegli anni si era creata una profonda crisi fra Venezia ed altri stati italiani tra cui il Regno di Napoli. Solimano ne approfittò per stringere un accordo con Venezia ed avere carta bianca nell’Adriatico Meridionale (ancor oggi nell’immaginario pugliese per esprimere un tradimento si suole dire “Il Turco disse al Veneziano”).

Agendo con straordinaria prontezza per evitare che Re Ferrante ed altri Stati Italiani, compreso quello della Chiesa, potessero correre ai ripari, Solimano fece allestire nel porto di Valona (Albania) un’armata imponente di 90 galere e 20.000 soldati agli ordini di Ahmed Pascià: con la morte del grande Skanderberg nel 1468 era cessata l’eroica resistenza dell’Albania e questa era caduta in potere dei turchi.

“Povera cristianità che ha perso la sua spada ed il suo scudo.

Finalmente l’Europa e l’Asia saranno mie – aveva detto il Sultano Maometto II alla notizia della morte del valoroso condottiero – Oh Dio, preservaci da un altro nemico leone come lui!”

E senza la resistenza degli albanesi l’Islam dilagò. Il 28 luglio la flotta fece apparizione nelle acque di Otranto, dalla parte dei laghi Alimini.

La scarna guarnigione aragonese, giudicando inutile ogni resistenza, si allontanò dalla città lasciando soli gli idruntini a fronteggiare le ingenti forze avversarie. Ahmed Pascià fece tutto il possibile per favorire la resa senza spargimento di sangue.

Promesse e minacce si scontrarono con la volontà ed il coraggio degli idruntini.

Chiusi nelle antiche mura messapiche (rinforzate e modificate di volta in volta dai vari occupanti), i 6000 abitanti resistettero eroicamente per due settimane ma l’11 agosto, quando gli enormi massi di granito lanciati dalle catapulte aprirono larghe brecce nella cinta muraria, i cittadini non ebbero più scampo.

turchi dilagarono nella città trucidando quanti, uomini donne e bambini, incontravano sulla loro strada.

Anche la cattedrale venne assalita e l’arcivescovo Stefano Pendinelli, che l’aveva difesa fino all’ultimo, cadde con la croce cristiana in pugno davanti ai suoi fedeli che vennero sterminati.

Il 12 agosto la florida e prospera Otranto è una città irriconoscibile. Questo estremo lembo orientale d’Italia che volge lo sguardo a Oriente e da Oriente riceve luce e vita, quel giorno ebbe morte e rovina.

Il 13 agosto Ahmed Pascià ordinò che tutti gli uomini dai 15 anni in su venissero condotti in sua presenza.

A ognuno propose di aver salva la vita in cambio della abiura alla fede cristiana. Sono 813; a nome di tutti risponde Antonio Pezzulla, di professione cimatore di lana: “fin qui ci siamo battuti per la Patria e per salvare i nostri beni e le nostre vite; ora bisogna battersi per Gesù Cristo e per salvare le nostre anime”.

Il 14 agosto si conclude la tragedia.

Gli 813 idruntini, seminudi, incatenati a gruppi di 50 con le mani dietro la schiena, percorsero i 300 passi che separano il centro della cittadina dalla Collina di Minerva (che da allora fu chiamata Madonna del Passo) scelta come luogo dell’esecuzione.

Su quella collina divenuta altare della fede di tutte le popolazioni salentine, essi affrontarono uno dopo l’altro il martirio.

Il primo a essere decapitato fu Antonio Pezzulla e per questo fatto gli fu attribuito il nome di Primaldo.

Miracolosamente, dopo la decapitazione, dalla posizione in ginocchio il vecchio cimatore di lana si alzò in piedi e così rimase fino a che non fu decapitato l’ultimo dei suoi compagni di martirio.

Papa Benedetto bene ha fatto a riconoscere, sia pure dopo 527 anni (ma si sa i tempi della Chiesa sono lunghi), la santità di quei martiri, ma a noi del Nastro Azzurro rimane un dubbio: oltre all’aspetto religioso non dovrebbe essere riconosciuto anche l’aspetto militare di quell’eroico episodio?

È vero, è trascorso più di mezzo millennio, ma perchè il gonfalone di quella città non dovrebbe fregiarsi di una decorazione alla pari di tanti altri Comuni decorati al V.M. dopo l’ultima guerra?

Gen. Giuseppe Picca
(Presidente della Federazione di Bari)

 

Pubblicato sul periodico "Il Nastro Azzurro" n. 4 007

 

 

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